10 Gen Le difficoltà di relazione
Nora è un architetto non ancora quarantenne, di origine tunisina ma nata in Italia.
Viene accompagnata in terapia da un suo caro amico, con il quale ha avuto un rapporto di intensa frequentazione negli ultimi due anni. Condividendo diverse passioni, come l’arte, la musica, i viaggi, hanno trascorso assieme di frequente i fine settimana e persino le vacanze estive. Dotati entrambi di una buona ironia e di un sottile spirito critico, hanno goduto della rispettiva compagnia. Per Nora, da sempre in difficoltà nelle relazioni interpersonali, si tratta anche di un rapporto pressochè esclusivo. Tale rapporto però non si è mai approfondito al punto da diventare una relazione. Le richieste in tal senso di Antonio, l’amico, sono stare respinte da Nora, che chiedeva di non modificare la loro bella amicizia. Questo anche se entrambi erano single, liberi da altri legami.
Quando Antonio incontra Carla, una affascinante collega, viene travolto dalla passione ed inizia una relazione con lei. Nonostante le rassicurazioni di lui, che le ripete che la loro amicizia non sarà modificata dal suo legame con Carla, Nora comprende ben presto che tutto è cambiato.
Si rende conto di avere perso, assieme alla sua amicizia speciale, anche l’ambito relazionale che, in fondo, le bastava. Non trova accanto a sé amici con cui condividere le difficoltà di questa particolare “separazione”. Quando al padre viene diagnosticata una cardiopatia piuttosto severa, Nora incomincia a sentirsi stanca, non ha più alcun interesse e a volte si sente confusa. Viene preso da momenti di ansietà intensa, nel resto della giornata si sente apatica, incapace di reagire. Nonostante sia sempre stanca, di notte fatica a dormire, prende sonno ma dopo poche ore si risveglia e passa la notte in preda a pensieri cupi, nei quali prevale la paura di essere condannata ad una dolorosa solitudine.
Nel corso dei primi colloqui di assessment si evidenzia una grave sofferenza emotiva che limita la possibilità di una presa in carico psicoterapica: Nora è in difficoltà nella comunicazione verbale, oscilla tra il sentirsi rassegnata al suo destino e il sentirsi molto in ansia. La mancanza di sonno notturno rende penoso quasi ogni momento della giornata. Anche solo il recarsi al lavoro, che pure ama, sta diventando terribilmente faticoso.
Si decide per una farmacoterapia che possa alleviare i principali sintomi, assieme ad una presa in carico psicoterapica, inizialmente settimanale poi, dopo alcuni mesi, bisettimanale.
Nel corso della terapia Nora rievoca le sue relazioni sentimentali, riconoscendo di non essere mai riuscita, forse non aver mai voluto, avvicinarsi davvero emotivamente ai suoi partner. Emerge anche una certa ripetitività nelle sue relazioni, con la costante preoccupazione di “non voler essere di peso, non volersi imporre”, che la spinge ad essere terribilmente sfuggente, all’apparenza poco disponibile.
Sembra esserci in questa modalità qualcosa di obbligato, come se non potesse fare altrimenti. Riconosce che anche nell’amicizia con Antonio, al quale si è sentita di avvicinarsi più che di consueto, non ha potuto fare a meno che “tenere un muro” tra loro. Ne parla come se si trattasse di una scelta (“non volevo che le cose cambiassero tra noi per non perdere questa bella amicizia”), ma capisce che c’è qualcosa che le ha sempre impedito di lasciarsi andare.
Ricorda di essersi da sempre dovuta difendere dalle ingerenze della famiglia di origine: prima di tre sorelle di una famiglia immigrata in Italia negli anni ‘80, il rapporto con i genitori era sempre stato difficile e conflittuale. Sin da bambina volevano che fosse un esempio per le sorelline e che fosse d’aiuto alla mamma, quando avrebbe voluto avere molta più autonomia e libertà di azione. Il padre era tendenzialmente molto severo, forse deluso dalle tre figlie femmine quando avrebbe desiderato un maschio, non perdeva occasione per ricordare alle figlie, in particolare alla maggiore, i loro doveri in termini di decoro e di comportamento. La madre sembrava chiusa in un rancore che Nora faticava a comprendere: ostile alla vita “occidentale” si era integrata poco in Italia, continuando a frequentare soprattutto connazionali. Era morta da circa 10 anni, per un tumore. Nora riteneva che potesse avere una sorta di invidia per le sue figlie, che potevano godere di una libertà a lei completamente sconosciuta. Nei suoi anni trascorsi nella casa dei genitori Nora era arrivata a sentirsi molto a disagio, non capiva davvero bene questa cosa, ma le era chiaro il suo desiderio di andarsene, allontanarsi dalla famiglia come se potesse esserne invasa e rimanerne prigioniera.
Nonostante la discreta agiatezza raggiunta in casa, grazie alle capacità imprenditoriali del padre, Nora dovette lottare per poter portare avanti gli studi. Negli anni dell’università le venne richiesto di svolgere contemporaneamente un lavoro serale nel locale di famiglia, cosa in realtà non necessaria, che rese più faticoso il corso di studi.
Appena le fu possibile uscì di casa non per sposarsi, ma per andare a vivere da sola. Desiderava liberarsi dall’oppressione che sentiva nei confronti della famiglia, voleva decidere, per quanto possibile, da sola.
Piuttosto sicura e soddisfatta del lavoro di architetto, che le consentiva di mettere a frutto la sua creatività, dal punto di vista sentimentale era andata incontro a ripetute frustrazioni, instaurando relazioni superficiali e temporanee, con uomini poco propensi ad impegnarsi davvero. Nonostante fosse di aspetto attraente, con un’aria leggermente esotica, non aveva mai avuto una convivenza e i rapporti più duraturi erano comunque di breve durata. Aveva pochi amici, più che altro colleghi di lavoro, ma raramente usciva con loro. Conduceva una vita piuttosto solitaria.
La fine dell’amicizia con Antonio, che non voleva/poteva trasformare in qualcosa di più, la mette in crisi e la costringe a riflettere. Aiutata dalla psicoterapeuta riesce a riconoscere di aver sempre cercato di evitare relazioni troppo intime e vicine. Comprende di avere degli aspetti che sente molto fragili, che deve tenere “nascosti”, al sicuro. Riesce a ritrovare gli stessi vissuti di quando era nella famiglia di origine, dove sentiva che, ben più di quanto fosse aiutata a diventare autonoma, la si voleva tenere “prigioniera”.
E’ attraverso il rapporto psicoterapico, al quale può dare fiducia, seppur molto lentamente, che si riesce ad evidenziare la drammatica ripetitività dei vissuti di Nora, diventati anacronistici e scollegati agli avvenimenti attuali, ma che hanno influenzato, in modo negativo, le relazioni e la vita di Nora.
Nel corso della terapia Nora imparerà non solo a fidarsi della terapeuta, ma ad avere meno paura di relazioni intime e vicine, di amore.