I disturbi dell’umore

Annabella è una stimata professionista quarantenne. Ha alle spalle una separazione non particolarmente drammatica: il marito Philip, di origine canadese, non è riuscito a ritrovare in Italia l’ambiente lavorativo dinamico al quale era abituato ed è entrato in crisi, prima lavorativa, ma subito dopo, dato che la sua identità si basava molto sulla propria efficienza e successo nel lavoro, anche personale. Annabella è molto sicura di sé, poco disponibile a capire le difficoltà di Philip o negoziare con lui qualche modifica dell’assetto familiare. Philip decide allora di tornarsene in Canada, Annabella non ha alcuna intenzione di seguirlo, la sua vita è a Milano. Con lei rimangono i due figli, di 7 e 2 anni.

Gli anni che seguono sono duri ma sembrano confermare le reali grandi capacità di Annabella di fare fronte alle difficoltà da sola. Philip è molto lontano, assente anche economicamente, per diversi anni non vede i figli, o li vede solo qualche settimana nel corso delle vacanze scolastiche. Lei riesce a fare la mamma e contemporaneamente portare avanti il suo incarico universitario la mattina e la professione privata al pomeriggio. Inoltre ha una vita sociale ricca, ha molti amici che la cercano per il carattere tranquillo e generoso, per la forza d’animo fuori dal comune. Durante una vacanza conosce un affascinate uomo d’affari olandese con il quale inizia una relazione fatta di romantici ma sporadici incontri nel fine settimana.

Quando il figlio maggiore inizia le scuole superiori qualcosa nel consolidato equilibrio della vita di Annabella sembra incrinarsi. Alan non ha buoni risultati scolastici, spesso marina la scuola, frequenta compagnie discutibili, forse fa uso di stupefacenti. Soprattutto però Alan la contesta e minaccia di andare a vivere con il padre. Ha un atteggiamento verbalmente aggressivo e per ogni banalità la insulta e le rinfaccia di non essere mai stata con lui e la sorella, avendoli delegati a nonne e baby sitter.

Queste contestazioni sono poco sopportabili per Annabella, abituata ad essere sempre lodata per le sue capacità organizzative al punto di non dover, quasi, rinunciare a nulla.
Quando anche Lia, la figlia minore, esprime il desiderio di passare più tempo con il padre Annabella ha una sorta di crollo: si sente inutile, come inutili sono gli sforzi fatti per tenere insieme tutte le cose. Ritiene di non farcela più, si sente svuotata e incapace di far fronte agli impegni, davvero molto gravosi, che ha affrontato con successo negli anni precedenti.
Inizia a trascorrere sempre più tempo a letto, non riesce più ad alzarsi la mattina, ripete di non farcela più, si trascura fisicamente, non si lava né si occupa di sé; smette quasi di mangiare e va incontro ad un cospicuo dimagrimento.

Grazie all’aiuto degli amici, inizialmente molto turbati da questa repentino e drammatico cambiamento, prende consapevolezza di essere malata e di aver bisogno di aiuto. E’ un passaggio molto difficile per Annabella, che ha fondato la sua identità sulle proprie capacità, sul cavarsela da sola nonostante tutto. Inizia una terapia farmacologica antidepressiva e dopo alcune settimane riesce a sentirsi meno oppressa. Il sollievo avuto dalla terapia farmacologica la sostiene nel riprendere fiducia nelle proprie capacità di madre e di professionista, ma soprattutto le dà la forza di mettere in crisi il proprio assetto psicologico interno, dal quale deriva uno stile di vita molto dispendioso emotivamente e fisicamente.

Intraprende una psicoterapia due volte la settimana nel corso della quale, tra l’altro, vengono ricordate le grandi aspettative del padre di Annabella: la prima figlia, seppure femmina, sarebbe dovuta essere la migliore in tutto! Anche per lui era stato così, immigrato da sud, proveniente da una famiglia modesta, era riuscito a farsi una ottima posizione sia economica che sociale. Per Annabella non avrebbe accettato nulla di meno! La madre, una tranquilla casalinga, molto affettuosa e “materna”, in fondo era sottilmente disprezzata per questo suo accontentarsi di una vita al servizio della famiglia. Aveva seguito il marito dal sud, non aveva mai lavorato fuori casa, al massimo dava aiuto nelle attività del marito. Per Annabella non poteva essere una figura in cui identificarsi.

Inizia a capire di aver sempre cercato di adeguarsi alle aspettative del padre, al punto di averle fatte sue, ma di aver dovuto rinunciare per questo ad una parte della sua vita, più intima e profondamente affettiva. Capisce, con dolore, di aver privilegiato la carriera e l’efficienza a scapito di relazioni più profonde e vere, ad esempio con i figli, che si era sforzata di gestire, più che di amare. In fondo anche nella separazione dal marito riconosce di non aver voluto/potuto andare incontro alle sue esigenze, ad esempio con un atteggiamento più supportivo e meno giudicante, e di averlo lasciato andare senza provare a fermarlo.

Si tratta di un percorso terapeutico che la mette in contatto con sue parti più autentiche, ma che comporta anche momenti di sofferenza intensa. Capisce che, se non fosse intercorso il momento di crisi che ha bloccato la sua vita, forse avrebbe potuto andare avanti come prima, ma a scapito di sentire la sua vita e le sue scelte davvero sue, e non “abitate” dalle aspettative paterne.
Annabella, accompagnata dalla psicoterapeuta, riesce a modificare alcune cose della sua vita, in primo luogo il rapporto con i figli, ai quali vuole stare più vicino, comprendendo meglio i loro bisogni. Riesce a chiedere il divorzio all’ex marito, mettendo un punto fermo, che le consente di voltare pagina, e chiedere all’attuale compagno una relazione più calda e vicina.

Forse le grandi conquiste di Annabella sono state di aver potuto chiedere aiuto alla psicoterapeuta e, anche grazie a questo aiuto, aver potuto accettare i suoi bisogni e le sue fragilità, che aveva cercato di negare tutta la vita.