I disturbi d’ansia e insonnia

Antonello è un giovane adulto, poco più che trentenne, che si presenta perché sta sperimentando, da alcune settimane, momenti di malessere crescenti.

Si tratta di una persona che mi colpisce per lo stile comunicativo molto caldo e affettivo, mi parla con apertura di sé e della sua storia, è intelligente e sensibile. Racconta che da alcuni mesi si stanno presentando degli episodi di ansietà intensa, nei momenti più disparati. Li mette in relazione con una proposta di miglioramento lavorativo che gli è stata fatta, che desidera accettare ma teme gli porti via troppe energie. Sente arrivare l’ansia come un’onda che gli attraversa il corpo, un vortice, a volte teme di poter morire e le prime volte si è fatto accompagnare in Pronto Soccorso dove, dopo una valutazione, è stato mandato a casa con la diagnosi di attacco di panico.

Gli è stata fatta una prescrizione psicofarmacologica che Antonello non si sente di assumere: teme gli effetti di alterazione psicologica che questi farmaci potrebbero avere. Poi quello che desidera è non avere più ansia, ma vuole soprattutto capire cosa gli sta succedendo.

Concordiamo per alcuni incontri di valutazione a cadenza settimanale.

Mi racconta di essere cresciuto in un piccolo paese del Piemonte e di essere rimasto orfano di padre all’inizio dell’adolescenza, con una sorella di qualche anno più piccola. La morte del padre era stata improvvisa e aveva lasciato la madre nello sconforto, nella disperazione.

La mamma in quella drammatica circostanza si era molto appoggiata ad Antonello, gli ripeteva che ora era lui l’uomo di casa, cosa che lo rendeva molto orgoglioso ma che gli faceva sperimentare una sorta di capogiro, “come se fossi stato preso da un vortice”.

Erano stati anni molto duri e Antonello non si era risparmiato. Prendeva molto sul serio il ruolo di “vice del padre”, in particolare con la sorella che, forse molto segnata dalla tragedia che aveva colpito la famiglia, tendeva a mettersi in situazioni difficili, ad esempio collezionando fidanzati con i quali instaurava relazioni conflittuali. Del resto Antonello era bravo ed adeguato in ogni circostanza: brillante negli studi, disponibile e vicino alla mamma, che lo adorava, responsabile con la sorella, al tempo stesso aveva un carattere gentile e generoso che faceva sì che avesse molti amici.

Probabilmente ad un certo punto si era sentito eccessivamente responsabilizzato e aveva deciso di uscire di casa per terminare gli studi in una grande città. Non per questo aveva abbandonato la famiglia di origine: al contrario era sempre in contatto con la mamma e seguiva le vicende della sorella e di sua figlia, la sua adorata nipotina.

Quello che la famiglia non sapeva, o che forse sapeva, ma che sembrava ignorare,  in una sorta di consumata commedia, era che Antonello era gay e che l’arrivo nella grande città aveva coinciso con il suo permettersi di vivere appieno la sua sessualità, con grande piacere e soddisfazione.

Finita l’università aveva trovato lavoro in città, finendo per stabilirvisi in modo stabile. Sul lavoro era apprezzato per le sue capacità, la dedizione e l’impegno, insomma per la sua generosità, che era tangibile in molti ambiti della sua vita, al punto da incominciare a sentire che, più che un pregio, si trattava di uno stile di relazione, assai dispendioso per l’energia impiegata, al quale non riusciva a rinunciare.

Dopo i primi anni turbolenti aveva incontrato il suo attuale compagno, un signore molto più grande di lui, e aveva una relazione stabile e appagante. Attorno a loro vi erano molti amici che contavano sulle capacità organizzative di Antonello: era lui a prenotare i ristoranti per le uscite serali, a mandare i messaggi per coordinare gli spostamenti. Era sempre lui che programmava i viaggi estivi, sempre in posti molto belli, e si adoperava per spendere cifre che tutti potessero permettersi.

Antonello riesce a riconoscere, nel corso della terapia, come si stesse esacerbando un vissuto che lo lusingava ma al tempo stesso lo riempiva di angoscia: sentirsi per tutti indispensabile, rivestito di grandi responsabilità. Il datore di lavoro, gli amici, la famiglia di origine… Persino con il suo compagno riteneva di doversi adoperare perché tutto tra loro andasse bene.

Questo vissuto, erede delle richieste materne, ben presto si riverbera e si evidenzia anche nel rapporto terapeutico, dove Antonello tende a presentarsi come estremamente collaborativo e impegnato, un vero paziente modello. E’ nel corso della terapia che si può cogliere, non solo intellettualmente ma nel vissuto, la matrice delle relazioni affettive del paziente.

Allo stesso tempo si sente costretto a nascondere, nell’ambito della famiglia di origine, gli aspetti più autentici della sua identità sessuale.

La consumata commedia in cui Antonello e il compagno vanno a trovare la famiglia di origine definendosi “due amici” incomincia a non andargli più bene.

Antonello decide di parlare più schiettamente con la madre e la sorella, e scopre che la vera natura dei rapporti tra i due è nota da tempo, viene anzi stupito dalla tolleranza e accettazione dei suoi cari.

Riesce a comprendere che la sua forza, la sua disponibilità, è anche la sua debolezza quando non riesce a dire di no e accetta i ruoli, anche scomodi, che gli vengono proposti. Le crisi di panico divengono sempre più rade e si interrompono. Antonello riesce a fare delle scelte, arginando ad esempio le pretese degli amici. Scopre di avere accanto un compagno che non ha bisogno del suo costante impegno, anzi si può affidare a lui, può esserne aiutato. Forse può contare anche su una terapeuta, piuttosto che sentirsi impegnato nell’essere un “bravo paziente”.

Al termine di quella che è stata una lunga consultazione, della durata di circa 4 mesi, i sintomi d’ansia di Antonello si sono risolti, ha compreso alcuni aspetti importanti del suo funzionamento psichico, è riuscito a comunicare con la famiglia di origine.

Gli propongo di intraprendere una terapia più a lunga scadenza, facendogli presente che la comprensione intellettuale non è sempre sufficiente, né la risoluzione dei sintomi, pure molto importante, può assicurare la risoluzione dei conflitti di base.

Antonello preferisce interrompere. Mi è molto grato del lavoro fatto ma non se la sente di approfondirlo. E’ soddisfatto della sua vita e si sente di continuare da solo.

“Magari in futuro…” mi dice.